Quando trovi una cura, che non ti guarisce, ma che ti rende la vita vivibile, quando hai giornate complicate, ma incominciano a palesarsi anche quelle buone, il mio primo istinto è subito stato quello di dare una mano a chi brancolava nel buio……..
………..l’esame prescrittomi dalla neurologa era il DAT SCAN, che tra esame e prendere un nuovo appuntamento a Milano, passò circa un anno. Nel frattempo io pian piano riacquistai sembianze umane, la cura era ben tollerata e incominciava a vedersi la differenza.
Quando un anno dopo ritornammo a visita, Silvia non dovette accompagnarmi alla porta, ma mi recai da sola….la diagnosi fu quella.
UNA FORMA GENETICA DI PARKINSON GIOVANILE IN FORMA RIGIDA.
Non accolsi male questa diagnosi, d’altro canto mi giunse 17 anni dall’esordio, qualsiasi spiegazione oltre allo zero che avevo ottenuto fino ad ora , era la benvenuta., almeno c’era una spiegazione ed un palliativo di cura da tenerla stabile per un po'.
Sarò un’inguaribile ottimista ma dall’inizio della cura ad oggi è passato più di un decennio , tra alti e bassi , non sempre del tutto semplice, molte volte ho dovuto metterci del mio e molta grinta, ma sono ancora qui.
Sono ancora qui, innamorata della vita e pronta a cogliere ciò che mi presenta, nella sua bellezza. Talvolta, volontariamente mi metto alla prova con situazioni che non sono sicura di poter affrontare, ma questo è il sale della vita di normodotati o portatori di handicap come me, è secondo di come vuoi vivere non dipende dalla malattia, ma dalla tua indole.
Al terzo o quarto controllo, dato che le cure su di me avevano sortito decisamente un ottimo risultato, mi fu chiesto se mi avesse fatto piacere portare la mia testimonianza ad un convegno che si teneva al Palazzo della regione di MILANO . Non esitai nemmeno un minuto, la mia risposta fu ……..decisamente si.
Poi nei giorni seguenti dove mi trovai a preparare la mia argomentazione, mi balenò l’idea di non essere all’altezza, o quantomeno paura per l’effetto della cura che non coprisse a sufficienza facendomi irrigidire durante l’esposizione, ma mi sono detta.
Dovessi ben irrigidirmi, o mi mancassero le parole o al limite se le gambe tremano che male c’è, eravamo li per parlare di noi, chi più e chi meno avrebbero sicuramente capito. Non mi accorsi nemmeno del tempo che passava, praticamente mi hanno strappato gentilmente il microfono dalle mani, dato che il tempo a me assegnato eta superato da un pezzo. La medesima cosa accadde l’anno seguente quando fui invitata nuovamente al convegno, e poi parlai in altre svariate occasioni sempre con risultati positivi.
Ricordo di aver affermato più di una volta, che lo sentivo molto naturale, che lo avrei fatto volentieri di lavoro.
Cosi ogni volta che si presenta l’occasione di scrivere o parlare di questa mia vicenda non mi tiro mai indietro.
Alla prox………...
“Ora conosco il tuo nome“
intervista con Danila Piovano a RadioParkies
A tutte le persone che ogni giorno lottano,
anche se non sanno per o contro cosa
ma trovano comunque senso per andare avanti.