Diagnosi

Introduzione

La classica sintomatologia motoria della malattia di Parkinson (MP) (tremore, rigidità, acinesia, instabilità posturale) si manifesta quando il processo degenerativo responsabile della malattia ha determinato una riduzione del numero dei neuroni dopaminergici della sostanza nera intorno al 50% e del contenuto di dopamina striatale al di sotto di un livello critico di circa il 70-80%. È indubbio, quindi, che esista una fase pre-clinica della MP idiopatica, la cui durata, tuttavia, è stata oggetto di valutazioni discordanti. Uno studio della funzione nigrostriatale mediante PET con 18F-Dopa ha consentito di correlare l'esordio della sintomatologia motoria ad una riduzione delle cellule superiore al 75% e dimostrando che la fase pre-motoria della malattia possa essere molta lunga e dipenda dall’efficienza dei meccanismi di compenso da parte dei circuiti extra-dopaminerigici correlabile all’età all’esordio. In particolare, i pazienti ad esordio giovanile mostrano una maggior efficacia dei meccanismi di compenso ed un andamento molto più lento del processo degenerativo, tant’è che la durata stimata della fase pre-sintomatica può essere di circa 20 anni nei giovani e di circa 10 anni nei pazienti ad esordio più tardivo.

La MP esprime un processo degenerativo cronico di difficile standardizzazione per la sede della patologia e per le variazioni del fenotipo clinico. In considerazione dell'assenza di un test diagnostico strumentale specifico o di un “marcatore” biologico, la diagnosi di MP è attualmente formulata in base alla verifica di criteri clinici quali quelli proposti dalla ‘United Kingdom Parkinson's Disease Society Brain Bank’ che identificano tre livelli nel processo diagnostico:

  1. Riconoscimento di sintomi essenziali per la diagnosi di sindrome parkinsoniana
  2. Criteri d'esclusione per la diagnosi di MP idiopatica
  3. Criteri di supporto della diagnosi di MP idiopatica

Una revisione dei criteri diagnostici di MP è stata successivamente proposta da Gelb e colleghi. Tali criteri internazionali (nel cui ambito un ruolo rilevante è rappresentato dalla responsività alla terapia dopaminergica sostitutiva) sono largamente utilizzati nella pratica clinica; tuttavia, il loro rispetto fa sì che la diagnosi di “probabilità” venga formulata quando il paziente presenta da tempo i sintomi motori e comporta, comunque, un margine d'errore relativamente elevato. La disponibilità d'indicatori strumentali o biologici rivestirebbe, quindi, una grande importanza consentendo di distinguere con sicurezza i casi di vera MP idiopatica. Questa possibilità è al momento ipotizzabile solo nei pazienti con forme di parkinsonismo monogenico, ma tali mutazioni sono assai rare e rappresentano una percentuale molto bassa dei casi totali di MP. Appare ovvio come la possibilità d'identificare precocemente la malattia consentirebbe di accorciare la durata del periodo pre-diagnostico anticipando il momento della diagnosi dalla comparsa di sintomi specifici (motori) a quella di sintomi non specifici (non-motori) o addirittura in fase del tutto pre-sintomatica. Una diagnosi precoce o predittiva rivestirebbe grandi vantaggi potenziali ai fini della comprensione dei meccanismi di sviluppo della malattia e, soprattutto, per il potenziale utilizzo di terapie “neuroprotettive”, qualora queste fossero effettivamente disponibili.

Le procedure di valutazione clinica

Non solo la durata della fase prodromica di malattia è incerta, altrettanto incerto risultava se la fase prodromica della MP dovesse considerarsi una fase pre-sintomatica o esclusivamente pre-motoria. In altre parole non era chiaro se negli anni antecedenti la comparsa dei sintomi motori potessero manifestarsi sintomi o disturbi di diversa natura.

Gli studi di stadiazione neuropatologica di Braak e collaboratori hanno consentito un fondamentale passo avanti nella comprensione del processo degenerativo che sottende la MP e fornito un punto di riferimento per lo sviluppo d'ipotesi cliniche riguardo alla possibile identificazione di sintomi predittivi della MP.

Il tradizionale substrato anatomico della MP è rappresentato dalla perdita di neuroni pigmentati nella pars compacta della sostanza nera, ma il “marcatore” neuropatologico del processo degenerativo è costituito dalla presenza d'inclusioni α-sinucleina positive sotto forma di neuriti e corpi di Lewy nei neuroni affetti. La MP sporadica può quindi essere considerata una “sinucleinopatia” cioè un processo multisistemico che colpisce cellule nervose “predisposte” in regioni circoscritte del sistema nervoso, iniziando in due sedi e procedendo attraverso sei stadi topograficamente prevedibili, durante i quali strutture dei sistemi olfattivi, autonomici, limbici e somatomotori vengono progressivamente compromesse.

Alla luce della teoria di Braak e collaboratori una rinnovata attenzione si è focalizzata sullo studio di possibili manifestazioni sintomatologiche che precedano la fase clinica motoria della MP, quali i disturbi dell’olfatto, i disturbi autonomici, i disturbi del sonno e la depressione. Qui di seguito serrano trattati solo i disturbi dell’olfatto mentre per gli altri disturbi si veda la sezione dedicata ai sintomi non motori.

I disturbi dell'olfatto
Sono stati riscontrati in oltre l’80% dei pazienti con MP ed alcuni importanti studi hanno affrontato la questione se precedano o meno la comparsa dei disturbi motori. Ponsen e collaboratori hanno analizzato prospetticamente 78 soggetti asintomatici, parenti di I grado di pazienti con MP sporadica: 40 soggetti risultavano ipo-osmici e 4 di loro sviluppavano una MP entro 2 anni, mentre nei rimanenti 36 soggetti si osservava un tasso di declino nella captazione del DAT superiore a quello osservato nei parenti con normalità dell'olfatto. 
Altri studi hanno confermato l’esistenza di un rischio per MP significativamente maggiore nei soggetti con riduzione dell’olfatto e dimostrato una correlazione tra turbe dell’olfatto ed alterazioni del DAT o aumentata ecogenicità della sostanza nera. Tali dati suggeriscono una significativa relazione tra compromissione dell’olfatto ed alterazioni biochimico-strutturali precoci nella MP.

La valutazione clinica dell'olfatto è relativamente semplice e standardizzata (“University of Pennsylvania Smell Identification Test”); tuttavia, occorre ricordare che l’ipo-anosmia è di riscontro relativamente frequente (soggetti fumatori o con rinite) ed è stata descritta anche in altre patologie neurodegenerative (ad esempio, nella variante Lewy-body della malattia d’Alzheimer), per cui la specificità del sintomo iposmia nella diagnosi di MP è ancora incerta. Muller e collaboratori hanno dimostrato come i test olfattivi siano in grado di differenziare casi di MP idiopatica (iposmia grave nell'86%, moderata nel 14%) da casi di parkinsonismo atipico (iposmia moderata nel 70%, normalità nel 30%).

Conclusioni
Numerose evidenze cliniche suggeriscono che la fase pre-motoria della MP è verosimilmente caratterizzata dalla presenza di sintomi non-motori di diversa natura, la cui possibile interpretazione trova riscontro nella stadiazione neuropatologica proposta da Braak e colleghi.   In particolare, i disturbi dell'olfatto, la costipazione e l’eccessiva sonnolenza diurna sembrano i sintomi maggiormente indiziati a rappresentare manifestazioni pre-motorie frequenti nella MP.   È in corso di valutazione anche la possibilità di utilizzare algoritmi che prevedono la combinazione di più sintomi e/o indagini strumentali. Ad esempio, è stata proposta la combinazione di turbe dell’olfatto e disturbi del sonno REM (supportata dai dati relativi alla correlazione con la captazione del DAT) o dell'esecuzione di test dell’olfatto in associazione ad indagini strumentali (SPECT, sonografia transcranica). È indubbio, tuttavia, che l’attenta raccolta dei dati anamnestici può consentire d’individuare soggetti con un potenziale rischio aumentato di sviluppare la malattia.

Il neuroimaging nella diagnosi differenziale tra la Malattia di Parkinson ed i Parkinsonismi atipici

Introduzione
La diagnosi della MP a tutt’oggi è essenzialmente clinica, basata sul riscontro all’esame obiettivo dei segni cardine della malattia, sull’esclusione di cause secondarie di parkinsonismo e supportata da una buona risposta alla terapia dopaminergica. La corretta applicazione dei criteri diagnostici correnti consente un’accuratezza del 90%. È noto, infatti, che alcune sindromi parkinsoniane secondarie o degenerative, e tra queste principalmente la Paralisi Sopranucleare Progressiva (PSP) e l’Atrofia Multisistemica (MSA), possono mimare il tipico quadro della MP, rendendo difficile un corretto inquadramento diagnostico, soprattutto nelle fasi iniziali di malattia.

Ormai da parecchi anni tecniche di neuroimaging convenzionale e funzionale sono finalizzate a supportare o escludere una diagnosi altrimenti dubbia. Mentre però l’utilità di esami funzionali quale la SPECT o la PET nella identificazione di alterazioni biochimiche e metaboliche del tessuto cerebrale e quindi di danno funzionale tipico della MP è ormai ben nota, il ruolo di esami morfologici quali la Tomografia Computerizzata (TC) e la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) è essenzialmente riservato, nella pratica clinica, all’esclusione di possibili cause secondarie di parkinsonismo.

Neuroimaging strutturale

Malattia di Parkinson
La RMN è un esame ormai divenuto routinario, grazie all’ampia disponibilità sul territorio nazionale e all’accessibilità, anche attraverso regimi di convenzione, che rendono la metodica alla portata di tutti. Pur tuttavia ad oggi le neuroimmagini strutturali non sono sempre di ausilio a supporto della diagnosi di MP. La RMN è, infatti, spesso normale nei pazienti affetti da MP clinicamente definita, anche se numerosi studi hanno in passato dimostrato come sia possibile individuare alterazioni in senso atrofico a carico della substantia nigra, soprattutto della pars compacta. Tale riduzione volumetrica, analogamente a quanto è possibile riscontrare clinicamente, sarebbe asimmetrica nelle fasi iniziali di malattia. Con l’utilizzo di sequenze Inversion Recovery è inoltre possibile evidenziare un’alterazione di segnale a livello della substantia nigra significativa se confrontata con le normali acquisizioni di segnale dei controlli sani, permettendo l’individuazione di soggetti affetti da MP anche prima dell’esordio della sintomatologia clinica. Ciononostante, l’individuazione delle suddette anomalie oltre a richiedere notevole abilità tecnica (sezioni sottili, assenza di artefatti e lunghi tempi di esecuzione) non è da considerarsi patognomonica, essendo riscontrabile anche in altre condizioni degenerative quali l’MSA nella sua variante parkinsoniana (MSA-P). Contrariamente a quanto avviene in altre malattie del sistema extrapiramidale, la RMN non permette di riscontrare nella MP né alterazioni di qualità del segnale né di forma a carico del corpo striato che appare normale anche negli stadi avanzati di malattia.

Parkinsonismo Vascolare
Il principale ruolo della RMN nell’inquadramento diagnostico dei parkinsonismi, dunque, consiste, ancora oggi, nella esclusione di cause secondarie di sindromi extrapiramidali come: infarti profondi, stato lacunare dei gangli della base, idrocefalo normoteso, malattie dismetaboliche. Tra le condizioni di parkinsonismo secondario, il Parkinsonismo Vascolare (PV) rappresenta la condizione, sicuramente, più frequente e non sempre di facile inquadramento diagnostico. Con il termine Parkinsonismo Vascolare si indica una condizione secondaria a lesioni vascolari della sostanza bianca sottocorticale e/o dei gangli della base in grado di determinare un’alterazione funzionale dei circuiti motori striato-talamo-corticali. La diagnosi clinica di PV è, tuttavia, una diagnosi difficile mancando un quadro clinico unitario di riferimento e, soprattutto, perché la presenza di lesioni vascolari dei gangli della base e/o sottocorticali non è patognomonica, potendo le stesse lesioni verificarsi anche in assenza di sintomatologia o coesistere con la MP. I principali quadri neuroradiologici che caratterizzano il PV sono le lesioni lacunari, lo stato cribroso dei gangli della base e più frequentemente le lesioni vascolari diffuse della sostanza bianca sottocorticale a maggiore espressione frontoparietale. Occorre comunque considerare che, sebbene la presenza di una vasculopatia cerebrale alle neuroimmagini morfologiche costituisca un elemento essenziale per la diagnosi di PV, tale reperto non costituisce un criterio assoluto di diagnosi. In atto, quindi, per un corretto inquadramento diagnostico di PV è dunque utile affiancare i reperti di RMN con i dati clinici e le neuroimmagini funzionali quali l’esame SPECT con DATscan.

Atrofia multi sistemica (MSA)
La diagnosi differenziale delle sindromi parkinsoniane è difficoltosa nelle fasi iniziali della malattia anche per il neurologo esperto di disturbi del movimento. La percentuale di errore diagnostico è ancora piuttosto elevata in quanto non esistono segni e sintomi assolutamente specifici per MSA. Attualmente i clinici possono fare affidamento su criteri clinici basati su studi di correlazione anatomo-clinici e su dati sempre più convincenti forniti dall’imaging strumentale. Le alterazioni evidenti alla RM nei pazienti con MSA riguardano soprattutto il putamen, il tronco dell’encefalo e il cervelletto e sono dovute a gliosi e perdita neuronale. Alterazioni neuroradiologiche caratteristiche sono state individuate nella MSA, con pattern diversi nei differenti sottotipi della malattia (cerebellare, MSA-C e parkinsoniana, MSA-P).

• Atrofia multi sistemica sottotipo parkinsoniano, MSA-P
Nel putamen la gliosi, associata a microvacuolizzazione, interessa soprattutto la porzione laterale e dorsale e si evidenzia come stria di iperintensità in T2 e densità protonica. È stata descritta anche una ipointensità in T2 attribuita ad alterazioni del campo magnetico locale indotte da abnorme deposito di ferro e da microgliosi. Tale rilievo, anche se molto sensibile alla malattia in fase precoce, oggi non è considerato totalmente specifico di MSA-P, osservandosi anche a volte nei soggetti normali dopo la sesta decade e pazienti con MP e PSP. La presenza di ferro si rende molto evidente nelle RMN ad alto campo, dove può anche arrivare a mascherare l’iperintensità dovuta all’incremento del contenuto in acqua. La presenza di segnale iperintenso putaminale in densità protonica può essere considerata altamente specifica per MSA-P, ma poco sensibile. La degenerazione dei neuroni striatali gabaergici porta anche a riduzione del volume del putamen.

• Atrofia multi sistemica sottotipo cerebellare, MSA-C
Le alterazioni riscontrate in RMN nei pazienti con forma prevalentemente cerebellare (MSA-C) consistono nell’atrofia della porzione ventrocaudale del ponte e dei peduncoli cerebellari medi, a fronte di un relativo risparmio corticale cerebellare, che ne rende relativamente agevole la diagnosi differenziale con le degenerazioni primitive del cervelletto. Si associa l’aumento del segnale nelle sequenze a TR lungo (T2 e densità protonica) nelle fibre pontine trasverse (che originano dai nuclei del ponte), peduncoli cerebellari medi e cervelletto, secondario alla gliosi in tali sedi. L’atrofia delle fibre longitudinali e trasversali pontine, soprattutto nelle forme in cui è prevalente la componente cerebellare, dà luogo alla tipica iperintensità cruciforme nota come segno “Hot Cross Bun”, reperto anche questo non patognomonico in quanto presente anche in soggetti affetti da atassia spino cerebellare ereditaria, in particolare la SCA1, SCA2 e SCA3. In questi casi tuttavia sono assenti i tipici reperti putaminali.

Paralisi sopranucleare progressiva (PSP)
La RM dimostra solitamente alterazioni agevolmente riconoscibili solo nelle fasi medio-avanzate di malattia. Il quadro più frequentemente descritto è rappresentato dall’atrofia del tegmento mesencefalico con profilo concavo del pavimento del terzo ventricolo dovuto all’atrofia diencefalica, associato in modo variabile a segni di gliosi (iperintensità) nella regione del grigio periacqueduttale ed appiattimento dei collicoli superiori. Tale distribuzione dell’atrofia fa sì che il profilo del tronco-encefalo assuma un aspetto simile a quello di un colibrì, di cui il tegmento mesencefalico rappresenta la testa e il ponte il corpo.

Nei soggetti con PSP il mesencefalo andrebbe incontro ad un’atrofia sette volte maggiore rispetto ai controlli sani, determinando quindi una riduzione del diametro antero-posteriore misurato nelle sequenze assiali. La misurazione del diametro antero-posteriore medio sagittale del mesencefalo (<17 mm) in sequenze T2 pesate è considerata una tecnica semplice, che quindi potrebbe essere di supporto nel differenziare la PSP dalla MP anche se non sembra altrettanto accurata nei confronti della MSA-P.

Sulla base delle alterazioni più frequentemente riscontrate alla RMN convenzionale (0,5 e 1,5 T), Schrag et al. hanno proposto dei criteri per la differenziazione della PSP, MSA-P e MSA-C. Pur tuttavia, l’applicazione dei suddetti criteri consentirebbe un corretto inquadramento diagnostico nel 74% dei casi con PSP e nell’83% dei casi con MSA-C, ma solo nel 50% dei soggetti affetti da MSA-P.   

Nuovi marcatori diagnostici precoci di MSA e PSP
Negli ultimi anni numerosi sono stati gli studi rivolti all’individuazione di nuovi markers diagnostici precoci che, affiancandosi alla storia clinica, possano essere d’ausilio nell’inquadramento diagnostico della MSA e della PSP in una fase iniziale. È un dato ormai acquisito che il mesencefalo e i peduncoli cerebellari superiori sono marcatamente atrofici nella PSP, mentre il peduncolo cerebellare medio e il ponte sono maggiormente interessati nella MSA.

Tra i possibili marker recentemente individuati, particolarmente utile, a supporto della diagnosi di MSA, sarebbe la misurazione del diametro trasverso del peduncolo cerebellare medio in sezioni sagittali T1 pesate. Tale parametro consentirebbe di differenziare, con alti livelli di specificità e sensibilità soggetti affetti da MSA da quelli affetti da MP e dai controlli.

A supporto della diagnosi di PSP, invece, è stata recentemente proposta la misurazione dell’area del mesencefalo. In particolare, lo studio di Oba e collaboratori ha evidenziato che l’area media del mesencefalo era significativamente minore nei pazienti con PSP (56,0 mm2), rispetto ai pazienti con PD (117,7 mm2) ed ai pazienti con MSA-P (97,2 mm2). Secondo gli stessi autori, di maggiore utilità sarebbe l’utilizzo del rapporto Area Mesencefalo/Area Ponte, significativamente più basso nei soggetti affetti da PSP rispetto ai pazienti con PD e MSA-P, non dimostrando il suddetto indice alcuna sovrapposizione nei valori individuali. In particolare, il riscontro di un’area del mesencefalo <70 mm2 sarebbe indicativo di PSP con una sensibilità del 100% ed una specificità del 91,3%, mentre un rapporto Area Mesencefalo/Area Ponte <0,15 sarebbe fortemente indicativo di PSP con una sensibilità ed una specificità del 100%.

Va tuttavia rilevato che i suddetti parametri derivano da studi generalmente condotti su gruppi di 15-20 pazienti, e che quindi necessitano di ulteriori conferme. Ciononostante, essi appaiono di notevole importanza poiché basati su misurazioni di facile esecuzione da effettuarsi su RMN convenzionale e quindi potenzialmente utili nella pratica clinica.

Degenerazione cortico-basale
Nelle fasi iniziali di malattia la RM rivela in genere atrofia corticale frontoparietale unilaterale. L’atrofia interessa soprattutto l’area premotoria, le circonvoluzioni parietali superiori, lo striato e la corteccia frontale dorsale 22. Tale rilievo si associa a volte alla presenza di rima corticale ipointensa in T2 e densità protonica nel giro precentrale, da verosimile accumulo di materiale paramagnetico, quale segno di demielinizzazione o gliosi. Con criteri di quantificazione tridimensionale è possibile differenziare la degenerazione cortico-basale, che mostra una prevalente atrofia parietale, dalla PSP in cui l’atrofia cerebrale è più diffusa. La tipica asimmetria nella distribuzione dell’atrofia corticale è particolarmente evidenziabile nelle sezioni coronali. Il ventricolo ispilaterale alla corteccia atrofica è ampliato. Inoltre, sono state evidenziate alterazioni putaminali simili a quelle della degenerazione striato-nigrica, ma localizzate unilateralmente. Con l’avanzare della malattia, le alterazioni corticali e putaminali sembrano diventare bilaterali. A differenza della PSP, il mesencefalo è normale nei pazienti con degenerazione cortico-basale.

Demenza a corpi di Lewy
Lo studio di Barber e collaboratori ha invece permesso di dimostrare l’utilità della RMN nella diagnosi differenziale tra la demenza a corpi di Lewy e la Malattia di Alzheimer, per la minore atrofia corticale del lobo temporale che invece risulta più accentuata nella Malattia di Alzheimer. Inoltre, a differenza della demenza di Alzheimer, nella demenza a corpi di Lewy si avrebbe una minore atrofia ippocampale e una maggiore atrofia a carico di mesencefalo, ipotalamo e corteccia temporo-parietale.   Tra l’altro, tale atrofia seguirebbe una evoluzione caudo-craniale e ciò trova anche riscontro con quanto evidenziato da recenti studi neuropatologici per i quali nella demenza a corpi di Lewy si avrebbe una progressione ascendente per compromissione di differenti circuiti neurotrasmettitoriali, che coinvolgono in primo luogo il mesencefalo.

Neuroimaging funzionale

Introduzione
I metodi di imaging funzionale si suddividono in due classi: metodi che forniscono informazioni riguardanti l’attività sinaptica, spesso detti mappaggi funzionali o studi di attivazione e metodi che forniscono informazioni di natura chimica o neurochimica (metodi neurochimici). I primi si basano su alcune forme di mappaggio di perfusione, in considerazione della stretta correlazione tra il metabolismo del glucosio ed il flusso ematico cerebrale locale; in alternativa essi sfruttano le modificazioni delle quantità relative di ossi-emoglobina e desossi-emoglobina nel sangue conseguenti all’evidente sproporzione tra consumo di ossigeno e flusso ematico indotta dall’attivazione funzionale. I metodi neurochimici sono invece basati sull’identificazione di sostanze chimiche di interesse grazie all’utilizzo di un radioligando appropriato o grazie alle proprietà paramagnetiche intrinseche di un composto: essi comprendono le tecniche di tomografia ad emissioni di positroni (PET) e tomografia computerizzata ad emissione di fotone singolo (SPECT).

Studio dell’attività metabolica
La differenza fondamentale tra PET e SPECT è la sensibilità. La PET può misurare distribuzioni di radioattività nel cervello in unità assolute, ovvero i segnali possono essere calibrati.

La calibrazione in unità assolute risulta possibile in quanto la sensibilità per la ricerca di radiazioni è uniforme attraverso la testa; inoltre può essere effettuata un’accurata correzione per l’attenuazione del segnale derivata dal parenchima cerebrale, dal cranio e dalla pelle; infine il territorio di valutazione può essere delineato precisamente e con modalità elettronica. Queste caratteristiche si traducono in una miglior qualità dell’immagine con un’esposizione alle radiazioni sostanzialmente minore rispetto alla SPECT. La PET è più costosa della SPECT ed il minor costo è proprio il principale vantaggio di quest’ultima tecnica, nella quale la correzione dell’attenuazione è approssimativa, la sensibilità si riduce con il quadrato della distanza dalla superficie di rilevamento e il territorio di valutazione deve essere limitato dalla pesante collimazione che comporta una sostanziale perdita di segnale e conseguentemente di sensibilità. Tuttavia, la SPECT presenta dei vantaggi che la rendono particolarmente utile per lo studio della Malattia di Parkinson (MP), come descritto in seguito.

I traccianti più semplici e più frequentemente utilizzati in studi di perfusione e metabolismo mediante PET sono [15O]H2O, che serve a misurare il flusso di sangue cerebrale (CBF), e il [18F]fluorodesossiglucosio (FDG), che serve a misurare il metabolismo cerebrale del glucosio.

Il CBF è proporzionale all’attività sinaptica, quindi variazioni nella frequenza di scarica neuronale sono riflesse da variazioni nel CBF.

Numerosi studi hanno evidenziato una riduzione del metabolismo e/o flusso cerebrale a livello corticale e dei nuclei della base generalmente più frequente nei pazienti con MP in fase avanzata e di entità maggiore in pazienti con disturbi cognitivi e depressivi. Studi PET hanno evidenziato una minore attivazione dell’area supplementare motoria (SMA) e della corteccia prefrontale (PFC) in pazienti con MP e non in terapia. Parallelamente è stata invece descritta un’iperattività della corteccia laterale premotoria e della corteccia parietale nelle fasi più avanzate di malattia. L’iperattività compensatoria è stata interpretata come un meccanismo per bilanciare la disfunzione del circuito motorio cortico-gangli della base-talamo-corticale; una spiegazione alternativa giustifica l’iperattività della corteccia premotoria e parietale come un deficit di restrizione dell’attività neuronale al solo circuito motorio che normalmente è il solo ad essere attivato durante un esercizio.

Questi dati sono tuttavia ancora preliminari e la distinzione in ipoattività legata ad un esercizio motorio e iperattività compensatoria è semplicistica e riduttiva. In particolare, nella MP le aree di ipo- o iperattività sono legate al tipo di esercizio motorio e modulate dalle capacità attentive del paziente.

Imaging molecolare del sistema nigro-striatale

Recettori pre-sinaptici

Attività striatale dell’enzima dopa-decarbossilasi: [18F]dopa/PET

Garnett e collaboratori hanno per primi descritto nel 1984 l’utilizzo di [18F]dopa/PET per visualizzare il sistema dopaminergico nigro-striatale. La [18F]dopa, un precursore della dopamina, dopo un’iniezione endovenosa, supera la barriera ematoencefalica ed è captata dai neuroni dopaminergici e poi trasformata in [18F]dopamina dall’enzima dopa-decarbossilasi (DCC). Il suo accumulo riflette pertanto l’attività striatale dell’enzima DCC e consente di identificare la presenza di alterazioni del sistema dopaminergico anche in una fase molto precoce della malattia; poiché tuttavia la sua captazione dipende dall’enzima DCC, non è un marcatore puro della numerosità neuronale. Inoltre, è provato che la DCC è regolata anche dai farmaci usati nella MP che quindi possono compromettere la captazione di [18F]dopa. La capacità della [18F]dopa di identificare pazienti parkinsoniani, anche in fase molto precoce della malattia, è stata potenziata dall’uso di nuove tecnologie e la sensibilità di questo tracciante raggiunge praticamente il 100%. Questa metodica ha permesso di osservare che le manifestazioni cliniche della MP compaiono quando la riduzione delle cellule dopaminergiche nel putamen supera il 50% dei valori normali e che l’uptake di [18F]dopa nel globo pallido interno è aumentato nelle fasi iniziali di malattia per poi ridursi progressivamente con il progredire dei sintomi. Studi clinici hanno inoltre evidenziato che la captazione con [18F]dopa è correlata con le scale per la rigidità e la bradicinesia. Un notevole interesse è stato posto nell’utilizzo della PET con [18F]dopa nell’individuazione di pazienti a rischio di MP, soprattutto in soggetti predisposti geneticamente a questa malattia. Sono stati condotti studi in coppie di gemelli di cui uno era affetto da MP, che hanno mostrato alterazioni sub-cliniche in gemelli clinicamente sani sia tra gemelli monozigoti che dizigoti, ad indicare che fattori aggiuntivi possono contribuire allo sviluppo della malattia. In uno studio successivo di follow-up, le alterazioni nei gemelli monozigoti erano progredite tanto da determinare lo sviluppo di segni clinici di MP in una percentuale consistente di soggetti.

Studi di imaging con [18F]dopa e PET sono stati recentemente utilizzati per indagare e quantificare il miglioramento di pazienti con MP trattati con fattore neurotrofico derivato da cellule gliali (GDNF); pazienti con infusione continua di GDNF per 12 mesi direttamente nel putamen posteriore hanno dimostrato, oltre ad un miglioramento clinico, un aumento del 18-24% dell’uptake di [18F]dopa.   La PET tuttavia fa uso di una strumentazione costosa ed in dotazione solo a pochi centri; non può essere quindi utilizzata nello screening di un numero consistente di pazienti.

Trasportatore della dopamina pre-sinaptico striatale: DATSCAN   Le fibre dei neuroni nigro-striatali effettuano il reuptake della dopamina attraverso una proteina di membrana presente nelle terminazioni pre-sinaptiche, detta trasportatore della dopamina (DAT). La perdita delle proiezioni nigro-striatali in pazienti con MP si riflette in una riduzione del DAT nello striato. Studi post-mortem hanno dimostrato che il DAT risulta ridotto nello striato dei pazienti con MP in maniera proporzionale alla diminuzione delle fibre dei neuroni dopaminergici.

I traccianti specifici per i DAT includono ligandi marcati con radioisotopi positroni-emittenti, quali 18F e 11C, utilizzati in PET e gamma-emittenti, quali 123I e 99mTc, utilizzati in SPECT. In particolare, alcuni di questi ultimi, quali [123I]FP-CIT e [123I]β-CIT hanno avuto ampio impiego per lo studio funzionale pre-sinaptico dopaminergico con SPECT nella MP.   [123I]FP-CIT o Ioflupano è un radiotracciante derivato dalla famiglia dei tropani che si lega selettivamente al DAT e può essere considerato un marker biologico di degenerazione del sistema dopaminergico. Una volta iniettato e.v., lo Ioflupano ha una rapida clearance ematica, con circa il 95% della dose somministrata eliminata dal circolo dopo i primi 5 minuti ed il 98% dopo 15 minuti. L’attività a livello dello striato mostra un andamento crescente con picco a tre ore dalla somministrazione e successivo plateau sino a sei ore; ciò rende possibile l’acquisizione SPECT in un intervallo da tre a sei ore dall’iniezione del radiocomposto.

Nella condizione di equilibrio farmacocinetico, le concentrazioni del radiofarmaco nel compartimento specifico (a livello dello striato) e nel compartimento non specifico (corteccia occipitale, in cui non sono presenti le fibre dopaminergiche), sono costanti e pertanto il rapporto di concentrazione dello Ioflupano in questi due compartimenti consente di ottenere una misura dell’attività proporzionale alla densità DAT striatale.

La commercializzazione in Europa del [123I]FP-CIT (nome commerciale DATSCAN) ha reso possibile l’applicazione di questo tracciante SPECT in ambito clinico; numerosi studi hanno dimostrato che l’utilizzo di questo tracciante SPECT consente di discriminare, con una specificità superiore al 95%, tra pazienti con sindrome parkinsoniana e soggetti affetti da tremore extrapiramidale indotto da farmaci o tossine o con tremore essenziale; più recentemente, questo tracciante è stato inoltre utilizzato per la diagnosi differenziale tra demenza a corpi di Lewy e malattia di Alzheimer.

Sfortunatamente, sia studi di imaging con PET che SPECT hanno scarsa sensibilità nel differenziare la MP da altre sindromi parkinsoniane. Anche i parkinsonismi atipici infatti si manifestano scintigraficamente con una diminuita captazione striatale, sebbene in queste malattie e soprattutto nella MSA e nella PSP l’ipoattività appaia simmetrica e meno regione specifica, con uguale compromissione del caudato e del putamen.

I biomarcatori

Un marcatore è un indicatore biologico o strumentale che permette di diagnosticare precocemente una malattia, monitorare la storia naturale e valutare l’efficacia di farmaci potenzialmente in grado di modificarne il decorso. Negli ultimi anni sono stati fatti molti progressi nella ricerca sui marcatori della malattia di Parkinson (MP), ma nonostante questo non sono ancora disponibili marcatori validi e di facile utilizzo.

Marcatori biologici
L’alfa-sinucleina è una proteina che, nella sua forma fosforilata,  costituisce i corpi di Lewy (aggregati proteici anomali che si accumulano nel citoplasma delle cellule nervose dei pazienti con MP). In un cervello normale l’alfa-sinucleina fosforilata costituisce solo il 4%, mentre essa risulta aumentata a livello ematico nei pazienti affetti da MP rispetto ai controlli sani. Elevati livelli di alfa-sinucleina si riscontrano nel liquor di pazienti con MP rispetto a soggetti di controllo e a pazienti affetti da altre malattie neurodegenerative. Tuttavia, sebbene elevati livelli di questa proteina possano essere indicativi di malattia, non è chiaro se essi correlino con la gravità e la durata della patologia. 

Livelli elevati di proteina DJ-1 sono stati riscontrati nel liquor di pazienti affetti da MP, ma non correlano con la gravità di malattia, mentre elevati livelli delle isoforme 4 e 7 di questa proteina si riscontrano nel sangue di pazienti parkinsoniani nelle fasi avanzate di malattia. 

Elevati livelli di acido urico nel siero di pazienti parkinsoniani si associano ad una progressione più lenta di malattia. Nei soggetti sani, elevati livelli di acido urico si associano ad un minore rischio di sviluppare. 

E’ stato riportato che elevati livelli di beta-amiloide nel liquor di pazienti con MP predicono lo sviluppo di un successivo deterioramento cognitivo. Allo stesso modo, bassi livelli di Fattore di Crescita dell’Epidermide (EGF) nel plasma di pazienti parkinsoniani potrebbero essere un fattore di rischio per il successivo sviluppo di demenza.

Marcatori genetici 
Mentre la maggior parte delle forme di MP sono idiopatiche e non hanno alcuna causa genetica nota, le mutazioni che causano le forme genetiche di MP sono di grande aiuto per lo studio dei meccanismi che contribuiscono alla patogenesi della MP e come marcatori preclinici di MP. In particolare, le mutazioni genetiche a maggiore prevalenza possono essere utilizzate per gli studi sui marcatori premotori di MP: parkina, glucocerebrosidasi (GBA), e LRRK2 (leucine-rich repeat kinase-2). Le mutazioni del gene della parkina sono responsabili della maggior parte delle forme giovanili, ad esordio precoce di MP. Studiare i soggetti affetti da queste mutazioni nella fasi presintomatiche di malattia permetterebbe di investigare i biomarcatori più rilevanti nelle forme ad  esordio giovanile di MP. Le mutazioni del gene LRRK2 sono tra le più studiate e sono responsabili di una forma autosomica dominante che è clinicamente molto simile alla MP idiopatica. I soggetti portatori di mutazioni del gene GBA hanno un aumentato rischio di sviluppare una MP, secondo alcuni studi a progressione più rapida e con un maggior rischio di demenza. Seguire nel tempo i portatori di queste mutazioni, che hanno un’elevata probabilità di passare da asintomatici ad affetti, è estremamente utile per studiare la progressione di malattia, migliorare la conoscenza di altri biomarcatori e sviluppare possibili strategie terapeutiche. 

Marcatori di neuroimaging
La densità del trasportatore della dopamina (DAT) misurata con la SPET grazie ad un tracciante specifico è in grado di predire lo sviluppo della MP e di monitorare la progressione della malattia. La captazione della F-DOPA misurata con la PET mostra anch’essa una riduzione progressiva nel corso della malattia ed è stata usata per valutare l’effetto di alcuni farmaci potenzialmente neuroprotettivi. 

La Risonanza Magnetica Nucleare funzionale e volumetrica sono state utilizzate per studiare la progressione dei segni motori e cognitivi della MP, ma al momento non ci sono evidenze definitive sull’utilità di queste metodiche avanzate per monitorare la storia naturale della MP. 

L’ecografia della sostanza nera si è rivelata una tecnica utile per la diagnosi precoce della MP, poiché i pazienti affetti presentano un aumento del segnale della sostanza nera rispetto ai soggetti di controllo. Sembra inoltre che questa alterazione riscontrata in soggetti sani sia associata ad un aumentato rischio di ammalarsi di MP. L’iperecogenicità della sostanza nera, tuttavia, non si modifica nel corso della malattia e quindi non può essere utilizzata come marcatore di progressione.

Biomarcatori della fase preclinica
E’ ormai noto che alcuni segni e sintomi possono precedere anche di anni la comparsa dei segni motori della MP. Tali segni possono pertanto essere considerati biomarcatori della fase preclinica di malattia ed essere usati per identificare i soggetti a rischio di ammalarsi di MP. Tra questi, il più noto è la riduzione del senso dell’olfatto o iposmia, che è presente in più del 90% dei pazienti con MP e può precedere di 2-7 anni l’esordio dei sintomi motori. E’ un sintomo facile da identificare, anche attraverso specifici test dell’olfatto, ma non è da considerare un marcatore specifico per la MP. 

Il disturbo comportamentale del sonno REM può precedere la diagnosi di MP anche di 20 anni ed è il più specifico tra i segni premotori della MP. E’ caratterizzato da movimenti violenti e agitazione durante il sonno REM (è come se il soggetto mettesse in atto quello che sta sognando) e può essere diagnosticato attraverso un esame effettuato durante il sonno che si chiama polisonnografia. 

La stitichezza può precedere lo sviluppo di MP di più di 20 anni, come dimostrato da un esteso studio epidemiologico, ma trattandosi di un sintomo estremamente diffuso nella popolazione generale, non può essere usato come un marcatore specifico per la diagnosi precoce di MP. La depressione del tono dell’umore può precedere i sintomi motori della MP di 5-6 anni fino al 40% dei pazienti ed è comunemente considerata un fattore di rischio per la MP. Anche questo sintomo tuttavia non è abbastanza specifico da poter essere consigliato come marcatore precoce di MP. 

Conclusioni
Sono in corso diversi studi prospettici per valutare i marcatori della MP sia in pazienti in fase iniziale di malattia che in soggetti a rischio di ammalarsi di MP (familiari di pazienti, portatori di mutazioni genetiche note, soggetti affetti da disturbo comportamentale del sonno REM e/o iposmia e/o depressione). Da questi studi, grazie all’arruolamento di grandi popolazioni e all’impiego di procedure standardizzate, si attende un significativo avanzamento delle conoscenze sulla progressione di malattia e i biomarcatori ad essa correlati. L’identificazione di marcatori validi e affidabili nel monitorare la progressione della malattia permetterà di accelerare i progressi della ricerca sia per quanto riguarda l’eziologia che la terapia della MP. Ci sono evidenze che gli studi sui marcatori biologici (presenti nel sangue o nel liquor) e con tecniche di neuroimaging avanzate potranno fornire strumenti utili per lo sviluppo di nuovi farmaci e in ultima analisi per migliorare il trattamento dei pazienti affetti da MP. E’ possibile che lo studio contemporaneo di diversi marcatori biologici e strumentali, attualmente in corso di valutazione in alcuni studi prospettici su un gran numero di pazienti o di soggetti a rischio di ammalarsi di MP, si riveli utile per diagnosticare precocemente e seguire nel tempo la progressione della MP. 

Dott. Maria Teresa Pellecchia 
Centro per le Malattie neurodegenerative
Università di Salerno

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