Mi chiamo Serena
Tutto comincia un paio di anni fa con una discussione più accesa del solito con mio marito per decidere la meta delle vacanze estive, che mi lascia per giorni una profonda sensazione di rabbia e tristezza.
L’arrabbiatura passa, la tristezza no.
Inizio ad avvertire dolore ai muscoli di collo e spalle. Penso sia a causa del lavoro che svolgo, sempre nella stessa posizione al computer. Forse è normale. Così provo a fare qualche massaggio per sciogliere la tensione, e per un pò sto bene.
Spesso avverto un fastidio alla spalla destra. Provo a contattare uno osteopata che mi tratta per il problema riportato. Intanto, nella palestra che frequento da anni, faccio più esercizi per quella spalla fastidiosa. Sospettando una possibile calcificazione, provo ad eseguire una ecografia della spalla, per escluderla. Risulta tutto nella norma, meglio così!
Mi sento sempre stanca, a volte spossata: la sera sono stanchissima e al mattino non mi sveglio quasi mai riposata. Lavorando a tempo pieno, con i turni al lavoro, una famiglia impegnativa (tre figli e un marito) e una vita anche fuori dal lavoro penso sia normale essere stanchi. Vado dalla mia dottoressa di base che mi prescrive un pò di esami del sangue e anche questa volta tutto nella norma. E’ primavera e provo anche una cura ricostituente, ma il beneficio è temporaneo.
La tristezza a cui non so dare una spiegazione diventa più profonda, provo così a contattare uno psicologo che mi aiuti a capire perché sono sempre triste e infelice.
Inizio ad avvertire tensione al braccio destro e la mano destra indolenzita.
Qualche volta scrivo un pò male, con una grafia a tratti incomprensibile. Pensando sia colpa della spalla non ci faccio molto caso. Mi sforzo di scrivere bene, perché mi piace moltissimo e appena ho tempo libero scrivo qualche riga sul mio diario personale: è una cosa di cui proprio non riesco a fare a meno.
A volte, se cammino troppo a lungo, l’anca e il ginocchio mi danno fastidio e mia mamma mi fa notare che qualche volta poggio male il piede a terra o lo trascino un pò. Sempre a destra … sarà il mio lato fortunato?
Mi arrabbio quando mi mostra come camminare “bene” e le faccio notare che camminare correttamente é una cosa naturale e automatica.
Per escludere qualche anomalia ortopedica, torno dalla mia dottoressa che mi prescrive un paio di lastre ed è ancora tutto nella norma.
Però inizio a sentirmi un pò storta, mi sembra di non avere una buona postura e ho l’impressione di camminare male e sempre più lentamente.
Per migliorare camminata e postura mi rivolgo ad un tecnico ortopedico che mi confeziona dei plantari su misura e ad ogni controllo mi fa camminare. La spalla è sempre un po’ in avanti, l’anca un po’ bassa, il ginocchio un po’ ruotato… il mio lato destro non ne vuole proprio sapere di allinearsi. I plantari non sono serviti a niente.
Quando comincio a fare fatica a guidare l’auto (come se non riuscissi più a coordinare bene
braccio e gamba) e ancora più fatica ad andare in bicicletta dò la colpa alla spalla fastidiosa e alla bicicletta che forse è un pò vecchia.
Mio marito me ne regala una nuova, ma con mio grande sgomento noto che non è la bicicletta a non andare bene, forse sono io ad avere qualcosa che non va … quindi smetto di andare in bicicletta perché non mi sento più sicura e ho paura di cadere.
Smetto anche di andare in palestra perché ormai è solo un’attività stressante e senza alcun beneficio.
Interrompo anche le sedute dallo psicologo perché ha troppi pazienti e non può più seguirmi. Sono davvero sconfortata, delusa e arrabbiata.
Mentre io mi accorgo di non stare molto bene (anche se non voglio ammetterlo) e comincio a temere di avere qualcosa di grave, capisco che gli altri sono preoccupati per me e vorrebbero aiutarmi, ma non sanno come.
Mia mamma insiste per farmi tornare dal medico di base per richiedere l’ennesimo consulto ed elencare tutti i miei malanni. Ma sono stanca di questi continui tentativi a vuoto.
Mia suocera mi dà l’indirizzo di un centro multispecialistico che le ha consigliato un medico al quale lei ha riferito sommariamente come sto.
Mi invita a presentarmi lì per una visita e confermare la diagnosi che questo luminare ha già formulato. Detesto i consigli non richiesti e non accetto che un medico, senza neanche avermi visto in faccia,
possa fare una diagnosi basandosi su informazioni poco precise e riferite da altri.
Tra le due decido di accontentare mia mamma, così non mi stressa più.
Con l’aiuto di mia sorella prenoto una visita neurologica in un grande ospedale di Milano.
È il 15 maggio del 2023 e tra meno di un mese sarà il mio compleanno.
La visita è lunga e accurata, rispondo a un sacco di domande e mi sento tranquilla.
Alla fine il responso è: sospetta malattia di Parkinson.
NO. Un momento. Non è possibile. Aspetta un attimo. Io sono giovane.
Questa è una malattia che viene solo agli anziani. E poi non tremo. È impossibile.
Un lampo di smarrimento mi balena negli occhi.
Ma il giovane dottore che ho davanti mi dà l’impressione di essere molto competente, accurato durante la visita e soprattutto delicato nel comunicarmi la diagnosi.
Mi trasmette la sensazione che sappia ciò che dice. Mi accorgo dal suo sguardo gentile che deve essere proprio così e che non si sta sbagliando affatto. Decido di fidarmi.
La visita di controllo due mesi dopo conferma la diagnosi e il sospetto diventa certezza.
E adesso? Ho solo 45 anni...
Se da una parte questa notizia mi sembra abbastanza terribile dall’altra è un sollievo.
Finalmente c’è qualcuno che ha capito e ha saputo dare un ordine e un senso a tutti i pezzi disordinati del mio puzzle.
Sono stata ingannata per tutto questo tempo dall’assenza di tremore. Non ho mai tremato e probabilmente non tremerò mai: mi è capitata la “variante” acinetica rigida, cioè mi blocco e mi irrigidisco. E’ una delle facce del Parkinson.
Inizio subito la terapia che sembra funzionare.
Appena ricevuta la diagnosi mi sentivo come se vivessi in una bolla. Mi sarebbe piaciuto fare tante cose, ma non organizzavo mai niente perché sapevo che avrei fatto troppa fatica, avrei camminato troppo piano e mi sarei stancata troppo. Cercavo di evitare uscite in compagnia (mi sentivo goffa e scoordinata) e inviti a mangiare fuori (faccio tuttora un po’ fatica con la mano destra).
Mia sorella mi propone di provare la sua psicologa. Sono molto scettica, ma almeno conoscerla non mi costa nulla. Dopo un pò di incontri, la dottoressa mi chiede di stilare un elenco di cose belle da fare, una specie di lista dei desideri da esaudire.
Cosa mai potevo desiderare di positivo?
Però ci penso su e un giorno, all’improvviso, mi è venuto in mente che magari non sono l’unica persona al mondo col Parkinson.
Decido di cercare qualcuno con la mia stessa malattia e conoscerlo.
Inizio a cercare su Internet qualche associazione. La mia attenzione viene catturata da un sito dalla grafica molto carina: AIGP. Leggendo tra le varie voci, ho scoperto che era proprio quello che stavo cercando. Ho provato a mandare qualche messaggio ai contatti trovati sul sito. Con mia grande gioia ho avuto subito risposte e sono stata ancora più contenta quando ho potuto conoscere per telefono qualche nuovo amico e addirittura incontrarne qualcun altro di persona.
Ora sto meglio sia fisicamente che moralmente, ma ad un anno dalla diagnosi mi risulta ancora molto difficile comunicarlo agli altri. In famiglia e al lavoro sono stata costretta a dirlo.
subito. Vivendo con me ogni giorno, tutti vedevano che non stavo bene senza sapere perché. Ma molte persone che frequento o incontro meno regolarmente non lo sanno perché non riesco a dirlo.
A casa cerco di farmi aiutare da tutti nelle piccole cose: a mio marito piace cucinare e in famiglia trovo sempre qualcuno disposto a darmi una mano.
Al lavoro, anche se sono un po’ più lenta e a volte mi blocco un pochino, riesco a fare tutto,
ma non ho più i turni che ultimamente mi stancavano molto. Andare a lavorare per me è molto importante, dico sempre che è il mio antidepressivo. Infatti la battuta simpatica, la chiacchierata seria, la risata con i colleghi o un abbraccio quando mi sento un pò giù di morale mi danno la carica per andare avanti. Soprattutto all’inizio mi è servito per pensare meno alla malattia.
Il giovane medico dallo sguardo gentile ora è il mio neurologo di fiducia. La sua competenza professionale e la disponibilità a rispondere a tutte le mie grandi domande e ai miei piccoli dubbi mi fa sentire al sicuro e mi aiuta ad avere un pò meno paura.
Sto partecipando ad uno studio per testare l’efficacia di un nuovo farmaco.
La sperimentazione durerà circa un anno. Oltre a seguire le indicazioni del protocollo, mi sottopongo regolarmente alle visite previste.
Tutte le volte mi presento volentieri perchè, oltre alla scrupolosa e attenta supervisione del mio neurologo, trovo sempre il sorriso solare dello specializzando che lo affianca.
Osservo i loro modi gentili e vedo tanta dedizione e impegno in un lavoro così delicato qual è curare le persone come noi.
Serena.
Di nome e di fatto. Come dico sempre!