Era il 18 Gennaio1998 ed ero seduta a tavola con tutta la mia famiglia, stavo guardando la tv, con il braccio sinistro appoggiato sullo schienale della sedia, quando, ad un certo punto, mi sono accorta che il braccio tremava senza che io facessi nessun movimento.
In un istante i miei pensieri si sono fermati e la spensieratezza che avevo avuto fino un quarto d’ora prima era svanita e un forte dubbio iniziava a girare nella mia testa “non può essere un Parkinson, non a questa età, sono troppo giovane”.
Questo fu il mio primo pensiero. L’indomani andai immediatamente dal mio medico di base, gli raccontai quello che mi era successo la sera prima, iniziò a visitarmi, a farmi fare tutti i movimenti del corpo per vedere come fosse la mia risposta, infine, mi consigliò di fare una visita neurologica.
Presi il mio primo appuntamento con un neurologo che a mio avviso fu di un cinismo unico, gli raccontai la mia situazione di salute, a 14 anni e mezzo sono stata operata per un disgerminoma ovarico e ho fatto tre cicli di chemioterapia, successivamente ho curato un ipertiroidismo, ora pregresso, morbo di Basedow e in quel momento stavo affrontando la sfida più grande della mia vita.
A visita ultimata, la mia domanda fu subito una: “Professore qual è la mia diagnosi?” e, fiduciosa nell’avere una risposta positiva, arrivò una doccia fredda: “Lei ha il Morbo di Parkinson”.
In un istante mi cadde il mondo addosso. Ricordo che guardai fissa negli occhi la mia mamma e d’istinto chiesi al professore come se fosse un gesto di sfida tra me e lui “ma è sicuro? Non è che si sbaglia?”.
In quel momento se mi avessero accoltellato non sarebbe uscita nemmeno una goccia di sangue. Tornammo a casa. Io mi rinchiusi in un silenzio di tomba, immersa nel mio unico pensiero, quello di essere una persona diversa, in un attimo tutti i sogni e progetti e i castelli che volevo fare svanirono, lasciandomi con questo chiodo fisso: cosa mi succederà ora, che sarà di me?
Iniziai il lungo pellegrinaggio tra visite e ricoveri in ospedale, nessuno riusciva a capire se il mio era veramente un Parkinson oppure una crisi extrapiramidale. Dopo tanto girare, un semplice neurologo, oggi primario dell’ospedale dell’Azienda Asl n.1 Alto Chiascio di Città di Castello, Gubbio, Gualdo Tadino, riuscì a darmi una prima diagnosi dicendomi: “La tua malattia è particolare, hai tutti gli esami che vanno bene, i tuoi sintomi sono quelli di un Parkinson, però non è precisamente un Parkinson” consigliandomi di fare un ricovero in un centro più specializzato.
Così arrivai al Policlinico Scotte di Siena – dove a capo c’era il Prof. Federico – e per più di 10 anni mi ha seguito la Professoressa M. Teresa Dotti.
La diagnosi fu sempre la stessa, la mia era una crisi extrapiramidale da patologia sconosciuta. Ci vollero 3 anni prima di arrivare alla diagnosi definitiva del Parkinson e ci si arrivò con il test del DNA e con una Spect cerebrale.
Dopo di che è iniziato il calvario, non uscivo più, mi ero completamente isolata, non volevo che chi mi conosceva mi vedesse tremolante e rigida, non lo accettavo. Io, Daniela, una persona piena di vita, di gioia, di sogni, di colpo alzai un muro contro l’esterno e solo le parole che la buonanima di mia mamma mi disse, me lo fecero abbattere: “comportandoti in quel modo non risolverai nulla anzi peggiorerai le cose sempre di più.
Cosi, decisi di reagire perche il Parkinson non è più forte di me, ma sono io più forte di lui. All’inizio è stata dura ma poi ho tirato fuori la grinta e la voglia di vivere grazie anche ai miei genitori e a Piero, la persona più importante che mi è stata e continua ad essermi vicino.
Ebbene sì, da quel 18 Gennaio 1998 sono passati 14 anni e io sono una persona che fa tutto, corro, vado in bici, guido e lavoro, insomma, sono completamente autosufficiente e spero di esserlo per il resto della vita.
Sì, è proprio così, non potrei avercela fatta se al mio fianco non ci fosse stato il mio convivente. È arrivato si può dire per gioco, quando meno me lo sarei aspettato e piano piano ci siamo innamorati. All’inizio non gli parlai della mia malattia perché avevo paura che non mi accettasse, ma poi ho trovato la forza per farlo e gli ho parlato.
In quell’istante sapevo che mi sarei giocata tutto per tutto e avevo anche modo di poter vedere se veramente questa cosa lo infastidiva o lo lasciava indifferente. Ma, con molto stupore e allo stesso tempo piena di gioia, capii che avevo trovato la persona che, pur essendo diversa, mi ha accettata per quello che sono. Per lui ero e sono tuttora la sua topy topy, piccola, ma allo stesso tempo un vulcano di energia.
Ci sono delle volte che torno dal lavoro stanca e vorrebbe che mi fermassi, che mi riguardassi di più e invece no, io devo correre finchè il mio fisico non dice basta. Piero non mi abbandona mai, è sempre presente ad ogni mio controllo e ultimamente è stato con me nel mio ultimo ricovero.
A volte, in quelle rare occasioni in cui lo chiamo quando mi prendono le distonie mattiniere nei piedi, vedo che sul suo viso cala sempre un’espressione di tristezza come se volesse far in modo di alleviarmi il dolore, ma ha imparato che fino a che la levodopa non entra in circolo io sono la persona più testarda che esista e che neanche una malattia come il Parkinson mi butta KO.
Anzi mi ha detto che sono io a metterlo all’angolo. Sono passati otto anni, non è stato un caso se il nostro primo incontro è avvenuto il 17 Gennaio 2004, un giorno prima (con qualche anno di differenza) del Parkinson. Abbiamo avuto momenti belli ma anche brutti, abbiamo riso ma abbiamo anche pianto e l’unica cosa che in questo momento ci manca è un bimbo. E che piano piano arriverà.
Ora a quasi 42 anni di cui 14 passati insieme al sig. Parkinson, posso dire di esser più che soddisfatta, io dico sempre “Barcollo ma non mollo” e il Parkinson si combatte, si affronta e si diventa più forti, perché è solo avendo la forza per andare avanti che si può combattere una malattia così brutta, che pensa di buttarti KO ma che con me non è riuscita.
Daniela Fioriti